Focus d'archivio

La Porta del cielo. Un viaggio tra i documenti

La porta del cielo è un film circondato da un'aura di leggenda, ciononostante è tra i meno conosciuti (e meno visti) del sodalizio Zavattini-De Sica.

La porta del cielo è un film circondato da un'aura di leggenda, ciononostante è tra i meno conosciuti (e meno visti) del sodalizio Zavattini-De Sica. Certamente perché le sue vicende produttive, sviluppatesi nel 1944 nella Roma occupata dai nazisti, condensano una tale quantità di temi e situazioni eccezionali che la vicenda finzionale narrata sullo schermo è quasi passata in secondo piano.

Eppure, a ben vedere, la trama del film e la sua storia produttiva si richiamano a vicenda: il viaggio di un gruppo di malati su un "treno bianco" in cerca di un miracolo al santuario di Loreto che è al centro del film, è quasi metafora di sentimenti e situazioni vissute dalla troupe durante la sua lavorazione. Gli stralci del diario di Zavattini sono in tal senso preziosi per capire il contesto del tutto straordinario in cui il film fu girato, ma anche la peculiare posizione che esso occupa nella sua personale storia di scrittore per il cinema. Così annotava appena arrivato a Roma da Boville:

Questa mattina sono stato svegliato da un gran correre sotto le mie finestre che stanno al livello della strada. Dicono che hanno bombardato il Vaticano. De Sica mi telefona che mi aspetta all'Albergo Maestoso alle dieci, così parliamo un'ora e dopo alle undici c'è l'incontro il produttore, Salvo D'Angelo. Roma è semimorta, tutti camminano adagio. Da Hoepli c'è pieno di soldati tedeschi che comprando libri.

Si intuiscono qui i tanti motivi di atipicità di questa produzione. Se il girare in clandestinità è il motivo più evidente, non è però il più originale: nei duecentosettantuno giorni dell'occupazione tedesca altre produzioni sfidarono infatti le bombe, il coprifuoco, i rastrellamenti. La vera anomalia, sia per la storia del cinema italiano che per la più piccola storia del binomio Zavattini-De Sica, stava nel diretto coinvolgimento nella produzione del film della Chiesa cattolica e delle sue più alte gerarchie: proprio per questo Zavattini aveva potuto usufruire del salvacondotto del Vaticano per lasciare la Ciociaria, dov'era sfollato, ma lo speciale passe-partout protettivo accompagnò tutta la troupe fino alle settimane più dure dell'occupazione quando la Santa Sede consentì perfino a concedere la basilica di San Paolo fuori le mura come set del film.

Salvo D'Angelo era in quel momento la figura più emblematica del nuovo corso che i vertici cattolici avevano impresso alla politica cinematografica negli anni di guerra: a quel tempo il rampante architetto era già riuscito a farsi largo ai massimi livelli nel mondo della cinematografia fascista, partecipando in meno di sei anni alla realizzazione di sedici film, per sei dei quali era stato il direttore di produzione. Ma dietro a D'Angelo si stagliava soprattutto il profilo di Luigi Gedda, il vero deus ex machina dell'operazione: il dirigente cattolico nei suoi anni ai vertici dell'associazionismo nel settore dello spettacolo (presidente del Centro Cattolico Cinematografico dal 1942 al 1947 e dell'Ente dello Spettacolo dal 1947 al 1952) ambì ad una occupazione "muscolare" dei settori strategici del cinema proponendo iniziative dirette dell'Azione cattolica soprattutto nel settore produttivo e distributivo.

Questo film e questa affascinante storia sono stati oggetto di progetto di restauro, iniziato nel 2021, promosso dal Centro di ricerca CAST di Uninettuno. Attorno al film un'operazione di ampio respiro scientifico, tecnico e culturale che ha promosso oltre al restauro, anche la realizzazione di un documentario. Il progetto è stato reso possibile grazie, in primo luogo, alla collaborazione di Associazione Officina Cultura e Territorio e della società di produzione Officina della Comunicazione, primi partner per lo sviluppo del progetto.

Il CAST ha dunque svolto un'azione di promozione e coordinamento operativo riunendo intorno a un tavolo i soggetti interessati: la Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia, in possesso dei materiali filmici, la Presidenza nazionale dell'Azione cattolica italiana, detentrice dei diritti di sfruttamento del film, l'Isacem (Istituto per la Storia dell'Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI), per il supporto scientifico. Si è svolta dunque un'azione di fundraising che ha coinvolto nel progetto gli sponsor AVL, AVL Cultural Foundation, Fabio Varlese e Paolo Golini.

Nell'aprile 2022 è stato infine sottoscritto un accordo per il restauro tra la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale, Presidenza Nazionale dell'Azione Cattolica italiana e Associazione Officina Cultura e Territorio. Il restauro è stato poi presentato alla Festa del Cinema di Roma il 16 ottobre 2022.

In questo focus d'archivio presentiamo alcuni materiali inediti.